20 Gen I racconti del corpo (2)
In questo articolo riporterò la seconda relazione che ho presentato nel 1995 durante il ciclo di conferenze tenutesi a Padova presso il Ce.S.S.P.A. (*) dal titolo “La funzione digestiva. Psicodinamica della nutrizione”.
Illustrare il complesso significato relazionale che la nutrizione assume per il bambino significa fare un “rewind” fino alla sua vita prenatale, epoca in cui la sua nutrizione era strettamente connessa con la madre.
fase di costruzione” vive la sua esperienza corporea in modo fusionale con la madre, grazie al flusso ematico materno che lo nutre e gli comunica tutte le sue emozioni, che diventano poi suo patrimonio esperienziale.
Con la nascita questa esperienza fusionale si interrompe per lasciar spazio ad una esperienza duale, ancora però, carica di contenuti simbiotici. Infatti l’Io primordiale del neonato è incapace di viversi come totalmente staccato dalla madre; il suo vissuto ancestrale è ancora connesso con la vita intrauterina, in cui l’interazione con la madre era totale e come allora anche nei primi mesi di vita viene espressa essenzialmente attraverso l’alimentazione, poiché alla base dell’assunzione del cibo c’è sempre un’esperienza interpersonale: il neonato ha estremo bisogno di essere contenuto e rassicurato attraverso un contatto corporeo caldo e affettivo nel quale rientra anche l’alimentazione, soprattutto quella al seno.
Che vuol dire “essere contenuto”? Vuol dire ricevere una risposta ai suoi bisogni, fisiologici e psicologici, in modo non meccanico ma con profonda empatia.
Cosa si intende per “cure materne”? Si intende la capacità innata della madre di comunicare empaticamente con il figlio e comprenderne i bisogni, fornendogli quanto gli è necessario: soddisfazione del bisogno di nutrimento, cullamento, accarezzamento, in una parola amore.
Allorché dunque una madre, oltre a sfamare materialmente il bambino, lo nutre anche psicologicamente, scambiando con lui sguardi d’amore e contatti corporei che trasmettono tutto il suo amore, si rivela in grado di comprenderne i bisogni emotivi, i sentimenti, e sarà quella che Winnicot definisce “una madre sufficientemente buona”, una madre cioè che metterà la sua sensibilità al servizio delle esigenze del suo bambino. In tal modo, e solo in tal modo, potrà garantirgli di vivere l’esperienza neonatale in modo funzionale al suo sviluppo psicologico.
L’associazione nella primitiva relazione madre-figlio tra il cibo e l’introiezione della figura materna buona, ci permette di cogliere il profondo significato assunto dalle funzioni alimentari nel primo anno di vita. Infatti il bambino, nell’essere nutrito, tende a soddisfare il bisogno assoluto di sentirsi amato ed accettato incondizionatamente.
Essendo la sua vita del tutto dipendente da colei che si occupa di lui, gli è indispensabile “percepire” che la madre non lo abbandonerà mai. Percepire ciò vuol dire ricevere presenza fisica e psichica, vuol dire avere la madre tutta perse in termini di qualità della relazione.
Per Freud l’alimentazione soddisfa si un bisogno di nutrimento, ma soprattutto un piacere primario. Questo piacere primario è dato dalla libido che, nel primo anno di vita, viene soddisfatta attraverso la stimolazione della mucosa orale (gengive, lingua, palato) e dalle labbra. E’ questa la fase orale della teoria freudiana, fase che, se superata positivamente, porterà il bambino a sviluppare nel suo secondo anno di vita la fase anale.
Ma che succede se tale fase non viene superata positivamente, se la madre “non è stata sufficientemente buona”, non ha nutrito fino in fondo i bisogni del suo bambino? Succede che questi, divenuto adulto, resta fissato alla fase orale, sviluppando quello che in Bioenergetica (**) viene chiamato il Carattere Orale.
Nella fase orale del suo sviluppo il bambino è poco meno dipendente dalla madre di quanto lo sia l’embrione o il feto.
Possiamo paragonare il lattante a un frutto che matura sull’albero. Finché cresce il frutto è fortemente attaccato al ramo e non rischia di staccarsi da solo. La naturale separazione del frutto dall’albero avviene quando è giunto a perfetta maturazione: allora è pronto a staccarsi per iniziare un’esistenza indipendente che sarà caratterizzata anche dalla diffusione dei suoi semi nella madre terra, dando luogo al ciclo della riproduzione. Più un frutto è maturo in concomitanza del suo naturale distacco, più è dolce, gustoso e piacevole da assaporare; è armonioso nelle forme e, ancora, gradevole alla vista e al tatto. Se il frutto viene staccato dall’albero prima della sua completa maturazione, presenta una certa resistenza alla precoce separazione dall’albero; se non é stato sufficientemente nutrito ciò gli conferirà un aspetto poco armonioso e dai colori piuttosto spenti. Il frutto immaturo è acerbo come l’organismo immaturo, come il fisico della persona che, pur essendo cresciuta, é rimasta psicologicamente dipendente dalla figura materna (o paterna) e lo rivela con un corpo che conserva le sue infantili caratteristiche-, il corpo è magro, molto alto o molto basso, poco sviluppato nelle sue forme sessuali, astenico, privo di vitalità, anche se al contempo esprime attraverso lo sguardo o il comportamento, una grande richiesta di attenzione e di affetto. Psicologicamente e somaticamente il carattere orale è il risultato di una maturazione e di un’indipendenza forzate o troppo rapide. A livello di personalità manca di fermezza, ha una grande difficoltà ad assumere atteggiamenti di contrapposizione e ha la tendenza a sfuggire all’attacco piuttosto che affrontarlo, per l’inveterata paura di essere abbandonato “se fa il cattivo”.
Nell’adulto-bambino la dipendenza dagli altri è l’equivalente della suzione e del farsi portare in braccio: la debolezza delle braccia e delle gambe rimanda proprio ad una struttura infantile.
L’appetito, spesso notevole, il bisogno di fumare o il piacere di “succhiare” frequentemente caramelle, vanno interpretati come un sostituto del cibo- amore.
La condizione ottimale perché un bambino diventi un adulto-adulto é data dalla piena soddisfazione dei bisogni connessi con la fase orale secondo la teoria di Freud, accompagnata da una totale e rassicurante garanzia di sicurezza, materiale e affettiva.
Per tornare all’analogia dell’albero-madre e del frutto-figlio, possiamo allora concludere che: per avere un buon frutto, dolce e maturo, piacevole al tatto, alla vista, al gusto e all’odorato, è necessario non staccare il frutto dall’albero prima del tempo, è necessario nutrirlo con attenzione e rispettare i suoi tempi di maturazione. Il fertilizzante che darà pieno vigore al frutto adulto si chiama AMORE.
(*) Vedi della stessa autrice n° 16 di Riflessionline
(*) Vedi della stessa autrice n° 6 di Riflessionline